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diversi tra loro rispettando la diversità delle pronunce stesse. Inquesto esempio tra il
dialettodi città e unodi provincia e cioè tra il dialetto di Parma e quellodi
Collecchio. Ecco la frase:
“vieni conme che andiamo aprendere un caffè”
Ovviamente è necessario conoscere e applicare le seguenti regole di grafia del
Capacchi che recitano:
a)
L
“o”
e la
“e”
quando hannopronuncia aperta come nella
“o”
di orto e nella
“e”
di erba, non si accentano.
b)
Viceversa quando hanno suono chiuso come la
“o”
di ora e la
“e”
di chiesa si
accentano (con accento acuto).
c)
Inoltre occorre applicare la regola del raddoppiodella consonante quando è
necessario rendere veloce il suono della vocale precedente.
La frase di cui sopra, nel dialettodi città, si traduce:
“véna conmi ch’andemma a tór un cafè”
In questa frase la
“e”
di
véna
ha velocità di pronuncia normale e suono chiusoper cui
si pone l’accento acuto sulla
“e”.
Invece è rapida ( e aperta) la pronuncia della
“e”
di
andemma
per cui si raddoppia la consonantemettendodue
“m”
mentre
l’accento
sulla
“e”
non è indispensabilema può risultare utile per chi legge. In questo caso
l’accentoda apporre sarebbe quello grave. Nella parola
cafè
la
“e”
ha suono aperto e
si pone accento grave.Ma nel dialettodi Collecchio andrebbe tradotta come segue:
“vénna conami ch’andémma a tórun café”
In questo caso la
“e”
di
vénna
ha suono chiuso (vuole accento acuto) e pronuncia
rapida che richiede il raddoppio della
“n”
. Per la parola
andémma
vale quantodetto
primama la
“e”
richiede accento acuto e anche in questo caso serve il raddoppio
della
“m”.
La
“e”
della parola
café
ha suono chiuso e richiede l’accento acuto
.
In
entrambi i casi la
“o”
di
tór
ha suono chiuso e richiede l’accento acuto.
ESERCIZIODILETTURA
La “buzéca”diGinoPicelli
Ónt äd gòmmod e po’ äd la gran pasénsja j én il primmi cozi ch’a gh’vól par fär ‘na
bón’na buzeca a sintirGinoPicéli che in fat äd buzeca al la säva lónga cme poch. La
trippa, ch’l’à da ésor älta e narvóza, la s’ taja inquädor grand e po’ con un cuciär la
s’rascia benben fin ch’l’é sgrasäda. La s’läva in acua corénta sinch o séz e sètt volti
e po’ la s’taja a fètti cme ‘l salam. La s’mètta a boijor par quattr’óri in-t- ‘na brónza
indò gh’é tutti il verduri tridädi; aj, sigòlli, carotli e sènnor, fin’na quäzi a cotura.
Intant da ‘na pärta a s’prepära un fónd äd casaróla con la pistäda ädgras e sälsa. La
s’fa andär parméz’ óra e, quand l’é prónta, a s’ghemètta la trippa col verduri e la
s’fa boijor pianpianén doo tre ori. Al giorondop la s’fa boijor ‘n’ältramezz’ óra e
po’ la s’ lasa arposär n’ätor brizén. Dop, finalmént,
(da“Apenn’nadaBiasär”)